«Ah!
gran felicità e gran disgrazia a questa casa! Il Cielo ha concesso
un figlio alla
sterile,
l'Altissimo ne sia benedetto! Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or
sono, da Gerusalemme, muto. Si fa
intendere
a cenni o scrivendo. L'avete forse saputo? La padrona mia vi ha tanto
desiderata in questa gioia e in
questo
dolore! Sempre parlava con Sara di voi e diceva: "Avessi la mia
piccola Maria con me! Fosse ancora
stata
nel Tempio! Avrei mandato Zaccaria a prenderla. Ma ora il Signore
l'ha voluta sposa a Giuseppe di
Nazareth.
Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e aiuto a pregare
Dio, perché Ella è tutta buona. E
nel
Tempio tutti la rimpiangono. La passata festa, quando andai con
Zaccaria per l'ultima volta a
Gerusalemme
a ringraziare Iddio d'avermi dato un figlio, ho sentito le sue
maestre dirmi: "Il Tempio pare
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senza
i cherubini della gloria da quando la voce di Maria non suona più
fra queste mura". Sara! Sara! È un
poco
sorda la donna mia. Ma vieni, vieni, ché ti conduco io».
Invece
di Sara, spunta sul sommo di una scala, che fiancheggia un lato della
casa, una donna molto
vecchiotta,
già tutta rugosa e brizzolata intensamente nei capelli, che prima
dovevano essere nerissimi perché
ha
nerissime anche le ciglia e le sopracciglia, e che fosse bruna lo
denuncia il colore del volto. Contrasto
strano
con la sua palese vecchiezza è il suo stato già molto palese,
nonostante le vesti ampie e sciolte. Guarda
facendosi
solecchio con la mano. Riconosce Maria. Alza le braccia al cielo in
un: «Oh!» stupito e gioioso, e
si
precipita, per quanto può, incontro a Maria. Anche Maria, che è
sempre pacata nel muoversi, corre, ora,
svelta
come un cerbiatto, e giunge ai piedi della scala quando vi giunge
anche Elisabetta, e Maria riceve sul
cuore
con viva espansione la sua cugina, che piange di gioia vedendola.
Stanno
abbracciate un attimo e poi Elisabetta si stacca con un: «Ah!»
misto di dolore e di gioia, e si porta le
mani
sul ventre ingrossato. China il viso impallidendo e arrossendo
alternativamente. Maria e il servo
stendono
le mani per sostenerla, perché ella vacilla come si sentisse male.
Ma
Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un
volto talmente radioso che pare
ringiovanito,
guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un angelo, e poi
si inchina in un
profondo
saluto dicendo: «Benedetta tu fra tutte le donne! Benedetto il
Frutto del tuo seno! (dice così: due
frasi
ben staccate). Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre
del mio Signore? Ecco, al suono
della
tua voce il bambino m'è balzato in seno come per giubilo e quando
t'ho abbracciata lo Spirito del
Signore
mi ha detto altissima verità al cuore. Te beata, perché hai creduto
che a Dio fosse possibile anche ciò
che
non appare possibile ad umana mente! Te benedetta, che per la tua
fede farai compiere le cose a te
predette
dal Signore e predette ai Profeti per questo tempo! Te benedetta, per
la Salute che generi alla stirpe
di
Giacobbe! Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio
che, lo sento, balza, come capretto
festante,
di giubilo nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della
colpa, chiamato ad esser colui che
precede,
santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in te!».
Maria,
con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla
bocca che sorride, col volto
levato
al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte
avrà il suo Gesù, esclama: «L'anima mia
magnifica
il suo Signore» e continua il cantico così come ci è tramandato.
(Luca 1, 46-55) Alla fine, al
versetto:
«Ha soccorso Israele suo servo, ecc.» raccoglie le mani sul petto e
si inginocchia molto curva a
terra,
adorando Dio.
Il
servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che
Elisabetta non si sentiva male, ma che
anzi
confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un
imponente vecchio tutto bianco nella barba e
nei
capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di
lontano Maria.
«Zaccaria
giunge» dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in
preghiera. «Il mio Zaccaria è
muto.
Dio lo ha colpito per non aver creduto. Ti dirò poi. Ma ora spero
nel perdono di Dio, poiché tu sei
venuta.
Tu, piena di Grazia».
Maria
si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a
terra, baciandogli il lembo della veste
bianca
che lo copre sino al suolo. È molto ampia, questa veste, e tenuta a
posto alla vita da un alto gallone
ricamato.
Zaccaria,
a gesti, dà il benvenuto, e insieme raggiungono Elisabetta ed
entrano tutti in una vasta stanza
terrena
molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire
una tazza di latte appena munto -
ha
ancora la spuma - e delle piccole focacce.
Maria
risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una
tavoletta cerata con uno stilo.
Comprendo
dalle risposte che egli le chiede di Giuseppe e del come si trova
sposata a lui. Ma comprendo
anche
che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di
Maria e la sua condizione di Madre
del
Messia.
È
Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una
mano sulla spalla, come per una
casta
carezza, gli dice: «Maria è madre Ella pure. Giubila per la sua
felicità». Ma non dice altro. Guarda
Maria.
E Maria la guarda, ma non l'invita a dire di più, ed ella tace.
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