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mercoledì 9 marzo 2016

Magnificat


«Ah! gran felicità e gran disgrazia a questa casa! Il Cielo ha concesso un figlio alla
sterile, l'Altissimo ne sia benedetto! Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or sono, da Gerusalemme, muto. Si fa
intendere a cenni o scrivendo. L'avete forse saputo? La padrona mia vi ha tanto desiderata in questa gioia e in
questo dolore! Sempre parlava con Sara di voi e diceva: "Avessi la mia piccola Maria con me! Fosse ancora
stata nel Tempio! Avrei mandato Zaccaria a prenderla. Ma ora il Signore l'ha voluta sposa a Giuseppe di
Nazareth. Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e aiuto a pregare Dio, perché Ella è tutta buona. E
nel Tempio tutti la rimpiangono. La passata festa, quando andai con Zaccaria per l'ultima volta a
Gerusalemme a ringraziare Iddio d'avermi dato un figlio, ho sentito le sue maestre dirmi: "Il Tempio pare
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senza i cherubini della gloria da quando la voce di Maria non suona più fra queste mura". Sara! Sara! È un
poco sorda la donna mia. Ma vieni, vieni, ché ti conduco io».
Invece di Sara, spunta sul sommo di una scala, che fiancheggia un lato della casa, una donna molto
vecchiotta, già tutta rugosa e brizzolata intensamente nei capelli, che prima dovevano essere nerissimi perché
ha nerissime anche le ciglia e le sopracciglia, e che fosse bruna lo denuncia il colore del volto. Contrasto
strano con la sua palese vecchiezza è il suo stato già molto palese, nonostante le vesti ampie e sciolte. Guarda
facendosi solecchio con la mano. Riconosce Maria. Alza le braccia al cielo in un: «Oh!» stupito e gioioso, e
si precipita, per quanto può, incontro a Maria. Anche Maria, che è sempre pacata nel muoversi, corre, ora,
svelta come un cerbiatto, e giunge ai piedi della scala quando vi giunge anche Elisabetta, e Maria riceve sul
cuore con viva espansione la sua cugina, che piange di gioia vedendola.
Stanno abbracciate un attimo e poi Elisabetta si stacca con un: «Ah!» misto di dolore e di gioia, e si porta le
mani sul ventre ingrossato. China il viso impallidendo e arrossendo alternativamente. Maria e il servo
stendono le mani per sostenerla, perché ella vacilla come si sentisse male.
Ma Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un volto talmente radioso che pare
ringiovanito, guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un angelo, e poi si inchina in un
profondo saluto dicendo: «Benedetta tu fra tutte le donne! Benedetto il Frutto del tuo seno! (dice così: due
frasi ben staccate). Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre del mio Signore? Ecco, al suono
della tua voce il bambino m'è balzato in seno come per giubilo e quando t'ho abbracciata lo Spirito del
Signore mi ha detto altissima verità al cuore. Te beata, perché hai creduto che a Dio fosse possibile anche ciò
che non appare possibile ad umana mente! Te benedetta, che per la tua fede farai compiere le cose a te
predette dal Signore e predette ai Profeti per questo tempo! Te benedetta, per la Salute che generi alla stirpe
di Giacobbe! Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio che, lo sento, balza, come capretto
festante, di giubilo nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della colpa, chiamato ad esser colui che
precede, santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in te!».
Maria, con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla bocca che sorride, col volto
levato al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte avrà il suo Gesù, esclama: «L'anima mia
magnifica il suo Signore» e continua il cantico così come ci è tramandato. (Luca 1, 46-55) Alla fine, al
versetto: «Ha soccorso Israele suo servo, ecc.» raccoglie le mani sul petto e si inginocchia molto curva a
terra, adorando Dio.
Il servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che Elisabetta non si sentiva male, ma che
anzi confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un imponente vecchio tutto bianco nella barba e
nei capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di lontano Maria.
«Zaccaria giunge» dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in preghiera. «Il mio Zaccaria è
muto. Dio lo ha colpito per non aver creduto. Ti dirò poi. Ma ora spero nel perdono di Dio, poiché tu sei
venuta. Tu, piena di Grazia».
Maria si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a terra, baciandogli il lembo della veste
bianca che lo copre sino al suolo. È molto ampia, questa veste, e tenuta a posto alla vita da un alto gallone
ricamato.
Zaccaria, a gesti, dà il benvenuto, e insieme raggiungono Elisabetta ed entrano tutti in una vasta stanza
terrena molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire una tazza di latte appena munto -
ha ancora la spuma - e delle piccole focacce.
Maria risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una tavoletta cerata con uno stilo.
Comprendo dalle risposte che egli le chiede di Giuseppe e del come si trova sposata a lui. Ma comprendo
anche che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di Maria e la sua condizione di Madre
del Messia.
È Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una mano sulla spalla, come per una
casta carezza, gli dice: «Maria è madre Ella pure. Giubila per la sua felicità». Ma non dice altro. Guarda
Maria. E Maria la guarda, ma non l'invita a dire di più, ed ella tace.

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